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Storia della Vespa PK: il battito ribelle degli anni '80 e '90
Pubblicato il 04.06.2025Nel 1982, quando Piaggio presentò la nuova serie Vespa PK, fu subito chiaro che qualcosa era cambiato nel mondo della “vespina”. Dopo decenni di successi raccolti dalle celebri 50 Special, 125 Primavera ed ET3, l’azienda di Pontedera decise di riscrivere l’eredità delle piccole Vespa partendo da un progetto del tutto rinnovato, che guardava al futuro pur mantenendo lo spirito originale.
La Vespa PK: il ritorno della “smallframe” moderna
La presentazione ufficiale della Vespa PK avvenne al Salone di Milano, dove venne proposta come l’evoluzione delle amate smallframe. Rispetto alle antenate, la PK si distingueva per una carrozzeria più squadrata, imponente, pensata per offrire maggiore protezione e comfort. Era cresciuta leggermente nelle dimensioni, con un passo più lungo, una pedana più ampia e un manubrio rialzato, pensato per aumentare l’abitabilità anche ai piloti più alti. Tuttavia, il cuore della Vespa rimaneva fedele alla tradizione: un motore due tempi, ruote da 10 pollici, cambio manuale a 4 marce e telaio portante in acciaio.
Sin da subito, la gamma PK venne proposta in più cilindrate: la 50 cc per i quattordicenni italiani, la 125 cc per i sedicenni, e versioni intermedie come l’80 e il 100 cc pensate per i mercati esteri. Non mancavano dettagli innovativi: la presenza (finalmente) degli indicatori di direzione, il passaggio all’accensione elettronica al posto delle vecchie puntine meccaniche, e l’introduzione, su alcuni modelli, dell’avviamento elettrico. Il bauletto portaoggetti dietro lo scudo — riservato alle versioni “S” — rappresentava un altro passo avanti nella praticità quotidiana.
La PK fece discutere: se da un lato si guadagnava in funzionalità e sicurezza, dall’altro la nuova estetica — più spigolosa, meno “rotonda” rispetto alle Vespe degli anni ’60 e ’70 — lasciava perplessi i puristi. Eppure, il pubblico cominciò presto ad apprezzarne le qualità, e la Vespa PK divenne compagna fedele per migliaia di giovani italiani negli anni successivi.
Dalla PK 50 “base” alla versione S: il rinnovamento delle 50 cc
Il primo modello a debuttare fu la Vespa PK 50, destinata a sostituire la mitica 50 Special. Il cuore della macchina era sempre il piccolo monocilindrico 2T da meno di 50 cc, capace di erogare circa 1,5 cavalli, quanto bastava per raggiungere la velocità massima consentita ai ciclomotori: circa 40 km/h. Questa prima versione era spartana: priva di frecce, con accensione a puntine e dotata di un semplice cruscotto rotondo. Era pensata per essere robusta, economica e facile da manutenere. Tuttavia, già nel giro di pochi mesi, Piaggio lanciò una versione aggiornata: la PK 50 S.
Questa nuova versione introdusse molte delle migliorie attese dal mercato. Le frecce direzionali divennero parte integrante del design, sporgendo in maniera ben visibile dal manubrio e dalla carrozzeria posteriore. L'accensione elettronica rese più affidabile l'avviamento, soprattutto nei mesi invernali, mentre l’inserimento del bauletto posteriore ne aumentava la funzionalità urbana. Esteticamente, la PK 50 S conservava la forma generale del modello base, ma con dettagli che la rendevano più raffinata. Fu anche proposta, in alcuni mercati come la Germania, una versione PK 50 SS, simile nella sostanza ma con piccoli aggiornamenti e destinata a chi cercava una guida un po’ più vivace.
Negli anni successivi, la gamma si espanse ancora. Con il restyling di metà anni Ottanta, nacque la PK 50 XL, caratterizzata da un frontale più scolpito, nuove frecce integrate e, soprattutto, un quadro strumenti più completo, con spie luminose e — grande novità per una Vespa 50 — un indicatore del livello della benzina. L’obiettivo era quello di trasformare il cinquantino da semplice mezzo scolastico o di emergenza a compagno di mobilità moderna. A queste si affiancò la PK 50 XL Elestart, che offriva l'avviamento elettrico come alternativa alla classica pedivella.
A partire dal 1987, Piaggio introdusse nella gamma anche le versioni PK 50 Rush e PK 50 N, pensate per offrire una variante economica e semplificata della XL. La Rush rinunciava ad alcune dotazioni — come l’indicatore carburante — ma conservava l’estetica aggressiva e sportiva della sorella maggiore. Era, in sostanza, una Vespa “da battaglia”, adatta ai giovani alle prime armi e con budget più contenuti.
Verso gli anni ’90: FL2 e HP, il canto del cigno delle smallframe
Con l’avanzare del decennio, e l’arrivo di nuovi concorrenti nel mercato degli scooter (spesso dotati di motori automatici e linee più moderne), Piaggio cercò di rinnovare ancora una volta la sua offerta. Nacque così la Vespa 50 FL2, chiamata anche Vespa “V”, un modello che segnava l’ultima grande evoluzione della serie PK.
La FL2 introduceva una carrozzeria ulteriormente semplificata e razionalizzata. Il manubrio venne ridisegnato, i comandi resi più ergonomici, e molte componenti tradizionalmente in metallo vennero sostituite con elementi in plastica. Una soluzione che aiutava a contenere i pesi e i costi, sebbene non tutti i puristi apprezzassero questa scelta. Due furono le versioni principali: una con cambio a 3 marce, pensata per i neopatentati meno esperti, e una più tradizionale a 4 marce.
Nel 1991 arrivò l’ultima vera incarnazione della Vespa smallframe: la Vespa 50 HP, dove la sigla stava per “High Performance”. Il nome era più suggestivo che realistico, ma rappresentava comunque un passo avanti: tutte le HP erano a 4 marce, alcune adottavano cilindri in alluminio, e la ciclistica beneficiava di piccole ottimizzazioni. Il peso era contenuto intorno ai 75 kg e le linee, pur sempre derivate dalla PK, risultavano più compatte. Nei colori e nelle finiture, l’HP strizzava l’occhio ai giovani degli anni ’90: tonalità accese, verniciature metallizzate, plastiche grigie, grafiche moderne.
Con la Vespa HP si chiuse ufficialmente l’epoca delle smallframe manuali a due tempi. La produzione terminò nel 1999, lasciando il posto alla nuova generazione di Vespa automatiche in plastica, come la ET2.
La Vespa PK 125: la sorella maggiore
Mentre la PK 50 si rivolgeva ai giovanissimi italiani, la Vespa PK 125, presentata anch’essa nel 1982, era pensata per chi cercava qualcosa in più: maggiore potenza, più comfort e la possibilità di affrontare anche percorsi extraurbani. Nata per raccogliere l’eredità della Primavera e della ET3, la PK 125 offriva un’esperienza di guida più matura, pur mantenendo la stessa struttura compatta delle versioni da 50 cc.
Il motore da 121 cc a due tempi era stato progettato con attenzione: il carburatore Dell’Orto 19.19E garantiva un’alimentazione precisa, mentre la potenza — tra i 6 e i 7 cavalli — consentiva velocità massime prossime ai 90 km/h. Il tutto veniva trasmesso alla ruota posteriore tramite il classico cambio manuale a 4 marce. Come per la sorella minore, anche qui esistevano due allestimenti: uno base, senza frecce e con dotazioni minimali, e un altro, chiamato PK 125 S, che offriva frecce, bauletto nel retroscudo e, più tardi, anche avviamento elettrico.
Nel 1984 arrivò un importante aggiornamento: l’adozione dell’accensione elettronica con anticipo variabile, che migliorò affidabilità e regolarità di marcia. Il telaio non cambiava, ma il modello guadagnava una scritta distintiva: “Electronic”, a indicare il passo avanti tecnologico. I colori proposti spaziavano tra toni eleganti come il verde metallizzato scuro e l’azzurro brillante, a testimonianza della volontà di Piaggio di rivolgersi a un pubblico più adulto e raffinato.
La PK 125 ETS: l’anima sportiva
Nel 1984, in pieno fermento tecnologico, Piaggio decise di riportare in vita lo spirito sportivo che aveva animato la mitica 125 ET3. Così nacque la Vespa PK 125 ETS, modello speciale che avrebbe dovuto conquistare i cuori dei più giovani con la passione per le prestazioni.
La ETS era una Vespa dalle linee decise, con dettagli esclusivi: il faro anteriore maggiorato, la sella monoposto con codolino, il clacson spostato lateralmente, la marmitta “a siluro” e il freno anteriore potenziato. Ma era sotto la scocca che batteva il suo cuore corsaiolo: il motore venne profondamente rivisto con un carburatore maggiorato, nuove luci di travaso, accensione elettronica dedicata e un albero motore rinforzato. Il risultato era una Vespa capace di toccare i 95 km/h e di accelerare con una prontezza inedita per una smallframe.
Questa piccola bomba su due ruote venne prodotta in numeri relativamente contenuti — meno di 12.000 esemplari — e non ebbe un grande successo commerciale, forse perché arrivava in un momento in cui gli scooter automatici stavano iniziando a conquistare il mercato. Ma nel tempo, la ETS ha acquisito lo status di mito tra gli appassionati, diventando una delle Vespa più ricercate in assoluto.
Le PK Automatiche: Piaggio guarda al futuro
Nel 1983, Piaggio prese una decisione coraggiosa: introdurre una Vespa senza marce. Era una vera e propria rivoluzione per un marchio legato a doppio filo alla tradizione del cambio al manubrio. Nacque così la PK 125 Automatica, seguita l’anno dopo dalla PK 50 Automatica.
Esteticamente simili ai modelli S, queste versioni nascondevano sotto la scocca una meccanica radicalmente diversa. Al posto della trasmissione manuale, era montato un variatore continuo con frizione centrifuga. Il manubrio sinistro non aveva più il selettore delle marce, ma una semplice leva per il freno posteriore, mentre al posto del classico cambio c’era un selettore con due sole posizioni: “N” (folle) e “D” (marcia). Bastava girare la manopola del gas e la Vespa partiva.
L’idea era geniale, ma arrivava forse con qualche anno di anticipo. La trasmissione automatica, seppur innovativa, era complessa e richiedeva molta manutenzione. Inoltre, molti vespisti trovavano strano guidare una Vespa senza cambiare marcia. Nonostante ciò, nel 1987 venne introdotta una versione evoluta: la PK Plurimatic, con variatore migliorato, impianto elettrico a 12V e cruscotto più ricco. Furono vendute anche con l’avviamento elettrico, diventando in pratica le Vespa più “tecnologiche” mai realizzate fino a quel momento.
Le prestazioni non erano entusiasmanti, ma la guida era semplice e immediata. Nonostante la scarsa diffusione, queste versioni rappresentarono un laboratorio tecnico per Piaggio, che poi avrebbe riversato l’esperienza maturata nella nascente generazione degli scooter automatici moderni, a partire dal Piaggio Sfera.
Le versioni estere: PK 80 e PK 100
Parallelamente ai modelli italiani, Piaggio sviluppò una gamma destinata ai mercati esteri, dove le normative su patenti e assicurazioni imponevano limiti di cilindrata differenti. Così nacquero la PK 80 S e la PK 100 S.
La prima era pensata per la Germania, dove i sedicenni potevano guidare veicoli fino a 80 cc. Equipaggiata con un motore da circa 5,5 cavalli, era perfetta per la mobilità urbana. La seconda, destinata principalmente al Regno Unito, montava un propulsore da 96 cc, capace di raggiungere quasi 85 km/h, avvicinandosi così alle prestazioni della 125 ma con costi assicurativi inferiori. In entrambi i casi, l’estetica e le dotazioni ricalcavano quelle delle PK S italiane.
Queste versioni non furono prodotte in grandi numeri, ma oggi rappresentano una curiosa testimonianza di quanto Piaggio fosse attenta alle esigenze dei vari mercati europei.
Conclusione: la fine di un’epoca e l’eredità della PK
La Vespa PK è molto più di una semplice evoluzione tecnica. È il racconto di un’intera generazione di ragazzi italiani che hanno conosciuto la libertà in sella a una “vespina”. È anche il simbolo di un’azienda, la Piaggio, che negli anni ’80 e ’90 seppe innovare, sperimentare e — pur tra alti e bassi — mantenere vivo lo spirito della Vespa classica.
Dal debutto nel 1982 fino alla chiusura della produzione nel 1999, la gamma PK ha attraversato trasformazioni profonde: dall’essenzialità della prima PK 50, alla raffinatezza della ETS, fino all’automatismo delle Plurimatic e alla plasticità colorata della HP. Ciascun modello ha avuto un ruolo nella transizione tra la Vespa tradizionale e quella moderna.
Oggi le Vespa PK sono oggetto di collezionismo, studio e passione. Alcuni restauratori ne esaltano le colorazioni originali e i dettagli tecnici, altri ne fanno la base per elaborazioni sportive o custom. Ma in qualunque forma le si osservi, le PK continuano a raccontare una storia affascinante, fatta di cambiamenti, sfide e ingegno italiano.
E sebbene siano nate in un periodo spesso considerato di “transizione”, le PK hanno saputo ritagliarsi un posto nel cuore di chi le ha guidate, amate e — oggi — riscoperte. In loro vive ancora l’anima ribelle e urbana della Vespa: leggera, agile, rumorosa al punto giusto. In una parola: indimenticabile.
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